domenica 12 aprile 2009

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Abruzzo e dintorni

Registro la bella iniziativa di un quotidiano sui morti del terremoto dello scorso 6 aprile:
http://racconta.kataweb.it/terremotoabruzzo/
Dietro ogni morto c'è una storia, una vita appunto, e i numeri diventano stralci d'umanità andata perduta, per un insieme di fatalità geologica e disonestà ed inettitudine degli uomini.

Ho scelto "a campione" un campione di rugby deceduto nel disastro, Lorenzo Sebastiani, anche per la splendida foto di questo ragazzone sorridente e pieno di gioia :" “Ciccio”, come lo chiamavano i compagni di squadra, aveva ventuno anni ed era rugbista da sempre. Cresciuto nell’Aquila Rugby ne era diventato il pilone ed era considerato una delle maggiori promesse della palla ovale italiana. Aveva vestito anche la maglia azzurra e con la nazionale under 19 aveva partecipato ai campionati del mondo. La notte di domenica Lorenzo Sebastiani, nato a Marana di Montereale, era con un gruppo di amici quando è arrivata la prima scossa, intorno alla mezzanotte. Si erano spaventati e avevano deciso di passare la notte insieme per farsi coraggio. Poi la scossa delle 3,32. Il suo nome è finito nell’elenco dei dispersi. Il primo a riconoscerlo è stato un amico, grazie a un tatuaggio. Poi il riconoscimento ufficiale, fatto dal fratello."
Non voglio affondare la mano sulle strutture architettoniche assolutamente inadeguate in una zona ad alto rischio sismico. Non è per questo che scrivo una breve riflessione anche se, mi auguro davvero, gli assassini (potrei chiamarli diversamente?) che hanno costruito quei castelli di sabbia come la Casa dello Studente vengano puniti come meritano.

Quello che mi fa pensare è l'aspetto "positivo" che emerge da questa vicenda, quello che ti fa sentire parte di una comunità, di uno stato. Nella tragedia, nella disgrazia, si riscopre la solidarietà e, soprattutto, ci si commuove per ogni morto.
Si comprende il valore di ogni singola vita umana, si partecipa al lutto con empatia e con comprensione, pensando forse a cosa accadrebbe alle nostre vite se ci fossimo trovati in prima persona a vivere il terremoto ed a perdere uno dei propri cari sotto le macerie.

Abbiamo la forza, la capacità di estendere al mondo intero questo sentimento nobile?
I morti abruzzesi, parlo da connazionale ovviamente, parlano la nostra lingua, condividono con noi cultura, abitudini, per taluni la religione. Li sentiamo vicini.

I morti in Iraq non sono diversi, nemmeno quelli in Afghanistan, in Pakistan, India, Darfur, Somalia, Cecenia, Gaza... . Sarebbe straordinario che chi ne avesse la forza e la capacità aprisse anche per loro un sito con tutti i singoli nomi, le singole storie di ogni singolo nome dietro al quale c'è una vita persa, un figlio, un madre, un padre. Dietro ogni vita c'è un amore perduto e non ci sono classifiche per i morti.
Sarebbe un'opera enorme: i morti non sono quasi 300, un numero già impressionante, ma milioni, un numero nemmeno commentabile.

Chissà se questa tragedia che ci ha colpito dietro la porta di casa ci farà comprendere anche le sofferenze di chi vive qualche isolato più in là.
Non c'è da vergognarsi quando si ammette di capire le sofferenze altrui nel momento in cui le sofferenze ci colpiscono direttamente.
Bisogna vergognarsi di non far tesoro dell'esperienza.

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