venerdì 19 agosto 2005

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Pena di morte


Il partito favorevole alla pena di morte è decisamente trasversale. E' trasversale alle nazioni e alle varie forme di governo; è trasversale alle religioni e fra i loro stessi adepti; è trasversale alle culture ed etnie: è trasversale alle opinioni politiche. Posso incontrare facilmente, in ogni gruppo o insieme delle categorie su elencate, persone che pur aggregate da un fattore sociale o etico condiviso si esprimono a favore o contro alla applicazione o applicabilità della pena di morte. E' un fatto riscontrabile facilmente.
E' quindi veramente molto difficile stabilire, ad esempio, se un comunista debba essere favorevole o un fascista contrario; se un italiano debba essere favorevole e un pakistano contrario; se un protestante favorevole e un cattolico contrario; ecc... . Pare proprio che sia sempre possibile trovare validi motivi per essere favorevoli o contrari. Con interpretazioni più o meno sofisticate si riesce sempre a portare il discorso a favore dell'una o dell'altra parte. Occorre allora, per poter valutare bene cosa sia giusto fare, approcciare il problema da una prospettiva nuova, che possa portare chiunque, a prescindere da idee politiche o religiose, a formare una propria coscienza individuale, e solo con quella arrivare ad una scelta.


Anzitutto poniamoci la domanda: "Con la pena di morte, coll'uccisione del colpevole di un determinato reato, quale risultato voglio ottenere?". Si tratta nei casi estremi di una vendetta personale, da una parte, e dell'eliminazione di un pericolo per la comunità, dall'altra. Poi possiamo creare e giustificare, con motivazioni semplici e complesse, tante piccole sfumature che però, senza meno, si troveranno comprese tra questi due estremi, e risolverli entrambi significa, quindi, risolvere anche tutta la casistica che essi contengono. Possiamo analiticamente distinguere i due casi come Necessità Individuale, o di un ristretto, limitato e circoscrivibile numero di persone, e Necessità Collettiva, o di uno Stato, tribù, etnia o confessione religiosa, e analizzare prima in modo isolato e poi nelle loro intersezioni entrambi i casi. Si può ribattere in cento e mille modi a questa fredda distinzione, ma alla fine torniamo sempre a questi due casi, quindi è inutile perdersi in congetture che hanno solo natura morale o di etica sociale e nulla di sostanziale. Una o più persone hanno commesso un reato che altre "una o più persone", queste ultime detentrici del potere con il consenso sociale del contesto ambientale, decidono debba essere punito con la morte, con la eliminazione fisica del reo o dei rei, e non rimane molto da dire.
Partirò dal caso Individuale, che poi vedremo portare a facili deduzioni per conseguenza e implicazione sufficienti a discutere il caso Collettivo, pur con un grosso problema da risolvere che poi vedremo. Consideriamo come reato da punire l'omicidio, che è quello più diffusamente e istintivamente condannabile con la pena di morte, anche se sappiamo benissimo che in molti luoghi si condanna a morte per molto meno.

PENA DI MORTE PER "NECESSITA' INDIVIDUALE"
Per semplificare parliamo del caso in cui c'è una persona che ha commesso il reato e una che ne paga le conseguenze: un assassino intenzionale o preterintenzionale e uno stretto parente della vittima. E' un caso semplice ma anche limite, condizione minima necessaria e sufficiente a prevedere una condanna a morte.
Che senso ha una punizione se nessuno è poi in grado di provarne beneficio e soddisfazione? Il defunto non trarrà alcun beneficio dalla condanna dell'omicida, per cui qualcuno che poi possa dire "Giustizia è fatta!", almeno una persona che provi questo sentimento legittimo, è personaggio protagonista del processo di espiazione quanto il reo. L'assenza di uno dei due personaggi rende in questo caso tutto il procedimento inutile e accademico. Forse il mio è un razionalismo duro, ma se ci pensiamo bene, una condanna che nessuno sente "sua", che senso ha? Teniamo sempre presente che siamo nel caso strettamente Individuale, e portare in questo ambito questioni di tipo sociale o collettivo significa andare fuori argomento. E' necessario sia in vita almeno una persona fortemente legata, affettivamente o anche economicamente, alla vittima. Occorre in breve un Danneggiato dall'omicidio, per danno morale o economico. Nei reati pecuniari, quelli da codice civile e non penale per meglio intendere, occorre un soggetto che denuncia l'avvenuto, una parte lesa, e perché non dovrebbe essere lo stesso per un omicidio? Ripeto: mettiamo da parte questioni di Stato o collettive sui generis: siamo nel caso Individuale.
Sono quindi giunto a un punto fermo, per ora: è necessaria una parte lesa in vita.
Per proseguire voglio raccontare il fatto che mi ispirò queste riflessioni sulla pena di morte, che se anche vengono da me scritte ora in realtà risalgono a qualche anno fa e sono state solo rielaborate e arricchite dal tempo. Non ricordo bene quando fu che una notizia di cronaca fece molto discutere in Italia, forse otto o dieci anni fa, la quale raccontava di un episodio avvenuto se ben ricordo in una regione del nord: un uomo, visto il proprio figlio morire in casa per una overdose di eroina, prima ancora di sapere, come poi venne accertato, che quella droga era anche tagliata male, imbracciò un'arma da fuoco e corse per strada dando caccia aperta allo spacciatore di quella orribile morte. L'ordinamento italiano non prevede che una persona possa farsi giustizia da sé, e l'uomo venne arrestato anche se dopo breve tempo venne rilasciato con una condanna che, con la condizionale, non lo costrinse alla carcerazione. Lo spacciatore venne individuato ed arrestato a sua volta, e subì le solite conseguenza immaginabili. Probabilmente di questi fatti ne sono avvenuto ancora, ma io ricordo quello distintamente, perché una sera a cena con amici in un ristorante ne parlammo e venne poi fuori un dibattito sulla pena di morte più che sul fatto in sé. Cosa sarebbe successo - si diceva - se quell'uomo avesse trovato lo spacciatore prima che la polizia trovasse lui? Lo avrebbe ammazzato? E lo Stato cosa avrebbe poi fatto a lui? Sì, lo avrebbe ammazzato perché con la collera si perdono i freni, e poi sarebbe stato processato per omicidio intenzionale, con qualche attenuante sul movente che non gli avrebbe risparmiato anni e anni di galera, era tutto ovvio. Il dilemma stava nel fatto che la sua collera era totalmente o quasi condivisa dall'opinione pubblica, tanto da far apparire il suo comportamento come lecito e ammissibile e le leggi che lo avrebbero poi condannato incivili ed inique: era questo il punto. Quasi solo contro tutti, mi schierai a favore dello Stato, definendo il comportamento dell'uomo certamente comprensibile ma giuridicamente inammissibile e anche moralmente da biasimare. Ero un Pacifista Assoluto, e ancora adesso sono un Pacifista, ma ora faccio qualche distinguo, sono più cinico e razionale, e ciò è frutto dell'esperienza.
All'epoca dell'episodio citato ero sposato ma senza figli. Poi i figli arrivarono e con essi arrivò una nuova consapevolezza di me stesso e delle mie potenzialità oltre che delle mie responsabilità. Ad esempio, una cosa che notammo, sia io che mia moglie, era l'aumentata, e di molto, sensibilità a fatti, scientifici o di cronaca non importava, che in qualche modo riguardassero bambini e famiglie. Io ero così turbato della cosa da sentirmi un idiota, ma fortunatamente, anche stavolta grazie alle buone letture a ai grandi romanzi, ne venni fuori.

L'amplificatore dell'esperienza paterna mi portò un giorno a riflettere ad alta voce con un amico su cosa sarei capace di fare se vedessi mio figlio in pericolo di vita, fino alla massima delle domande: "Sarei capace di uccidere?". Sono domande complesse per chi vive in epoca di pace, banali invece per un soldato in guerra, periodo e situazione nella quale uccidere significa compiere l'azione "base" per non dire "il proprio lavoro". Impossibile immedesimarsi in una situazione ipotetica talmente limite da faticare ad immaginarla. Allora chiusi gli occhi e facendo finta di sognare mi immaginai nella situazione vissuta dall'uomo del caso precedentemente descritto. Fu tale l'immedesimazione che provai che piansi, vedendo nel sogno mio figlio morto su un letto, con una siringa nel braccio, un rivolo di sangue che usciva dalla bocca, gli occhi aperti e sbarrati come chi prova spavento e terrore. Risposi quasi urlando, di getto, ancora caldo della situazione: SI', LO AMMAZZO QUEL BASTARDO, A MANI NUDE LO APPENDO PER LE PALLE A UN PALO E GL'INCIDO L'AORTA CON LE UNGHIE! Ero in una collera furiosa e terribile, lo spavento fu molto forte. L'amico non si scompose, con grande maturità e presenza di spirito perché io dovevo avere un aspetto spaventoso ed essendo lui la sola persona presente rivolsi proprio a lui il mio sguardo durante l'invettiva. Riprendemmo a parlare, sempre sullo stesso argomento, e mano a mano che passava il tempo la collera sbolliva e la mia personalità più pacifica e diciamo "normale" tornava a possedermi. A raffreddamento completato tornai a farmi la stessa domanda, se sarei o meno capace di uccidere, e notai, quasi con dispiacere, che la risposta era ormai più No che Sì. Mi resi conto che nello spazio di un paio d'ore avevo vissuto, in senso figurato, la triste esperienza del caso di cronaca. Se a me erano bastate due ore a quell'uomo, che la situazione l'aveva vissuta veramente, sarebbe occorso molto più tempo anche se non posso quantificarlo con precisione nemmeno approssimata, ma probabilmente sarebbe successa la stessa cosa visto che era una persona normale, come me, e non un soldato o un killer professionista, perché è questo che distingue più di ogni altra cosa le persone normali dagli assassini professionali: la capacità di uccidere a sangue freddo, con la piena padronanza dei propri sensi e della ragione.
Cosa è avvenuto nelle due ore trascorse? Abbandonata la collera sono tornato semplicemente pauroso e timido? Forse, ma sicuramente sono tornato ad essere pacifico, lucido, a ragionare sugli eventi e a collocarli nei posti che la mia morale loro attribuisce. Sono arrivato quindi alla conclusione che potrei uccidere per difendere me e i miei figli e potrei anche uccidere a posteriori per vendicarli, e che in entrambi i casi mi occorre una dose di adrenalina molto elevata, generata dal senso del pericolo o dalla sofferenza. In assenza quindi di determinate condizioni non riuscirei ad uccidere un uomo, e se mi forzassi a farlo mi sentirei alla sua stregua, cioé un assassino a sangue freddo e questa cosa proprio non è possibile. La motivazione non modifica il comportamento: un omicidio perpetuato con lucidità è sempre tale, qualunque ne sia la ragione scatenante. Per un omicidio occorre un professionista del campo, mentre per una vendetta perpetuata a caldo un uomo comune fortemente motivato è più pericoloso di un branco di tigri dai denti a sciabola. Nella collera e nella ferocia dell'uomo comune però risiede anche il suo grande limite, che è il grande rischio di sbagliare bersaglio e colpire appunto senza ben riflettere.

Potremmo definire come "Omicidio Giustizialista Perfetto" quello in cui almeno due attori agiscono: uno è l'esecutore dell'omicidio giustizialista, cioé la parte lesa e legittima vendicatrice; l'altro è quello che deve individuare esattamente, con freddezza e buon senso, il criminale da colpire, e questo soggetto dovrebbe essere lo Stato rappresentato dalla magistratura inquirente. Ma, così ragionando, non codifichiamo di fatto una ipotesi di "Pena di Morte Correttamente Attuata"? Se torniamo al ragionamento puro e calcolato, se ricomponiamo i pezzi emersi nel discorso, possiamo trovare una sequenza temporale di eventi attuabili, fino alla esecuzione della condanna stessa. Risolviamo quindi, per concludere, il problema della pena di morte per Necessità Individuale addirittura con quello che potrebbe essere il disegno di una norma di legge costituzionale, che più o meno può recitare così:

Progetto: "PENA DI MORTE: PRINCIPI GENERALI"
La pena di morte è prevista solo per i reati contro la persona di omicidio singolo, plurimo o stragistico di tipo premeditato, intenzionale o preterintenzionale aggravato. E' applicabile per tutte le condanne che, per i suddetti reati, prevedono l'ergastolo, e nei quali è precisamente individuabile una parte lesa, ancora in vita, che ritiene massima giustizia possibile l'uccisione del colpevole o dei colpevoli.
La richiesta di pena di morte comporta l'automatico rinvio in appello per il colpevole fino al terzo e massimo grado di giudizio. Un qualunque rinvio della sentenza, in appello o in cassazione, rende non più applicabile la pena di morte.
Anche l'omicidio colposo o normalmente preterintenzionale, soprattutto se plurimo o stragistico, causato da gravi negligenze, se non accertata l'assoluta buona fede del responsabile dell'evento, è punibile con la pena di morte. In questo caso il giudizio prevede l'espessione della sentenza da parte di una giuria popolare e il giudice deve limitarsi a garantire il corretto svolgersi del dibattito processuale e la coerenza della sentenza con l'ordinamento vigente.
Le modalità di esecuzione della sentenza sono stabilite per legge ordinaria, e prevedono la morte meno dolorosa possibile per il condannato in dipendenza delle tecnologie disponibili a riguardo.
La pena di morte non è applicabile in assenza di una persona fisica legittimata a denunciare il colpevole per danno personale.

Progetto: "PENA DI MORTE PER REATI D'INTERESSE PARTICOLARE"
Lo Stato garantisce la detenzione del colpevole, per un periodo minimo di 12 mesi e massimo di 36 mesi, in dipendenza della gravità del reato. Periodo più lungo per omicidi plurimi o stragi, o omicidi particolarmente efferati; periodo più breve per gli altri. La durata del periodo, in tutti i casi, è di esclusiva discrezione del giudice che emette o conferma la sentenza.
Terminato l'obbligatorio periodo di detenzione stabilito, si richiede alla parte lesa denunciante di confermare la volontà di messa a morte del colpevole. In caso di rifiuto si procede col richiedere la cosa a tutte le parti lese denuncianti, nell'ordine di priorità stabilito dal giudice in presenza di più parti lese.
Se nessuna parte lesa intende procedere all'esecuzione, la pena viene automaticamente commutata in ergastolo e, in presenza delle condizioni adeguate, in lavori sociali obbligatori a vita.
Se una parte lesa conferma la volontà di procedere, allora la parte lesa stessa sarà, di persona, esecutore della sentenza alla presenza di, almeno, dieci testimoni civili oltre alle autorità competenti. Nessuna delega è concessa per l'esecuzione della pena. Lo Stato provvede a mettere a disposizione dell'esecutore gli strumenti e la formazione necessaria ad operare l'omicidio. Come detto nei "Principi Generali", le modalità tecniche di esecuzione dell'omicidio sono di esclusiva competenza dello Stato.

Sicuramente è perfettibile tutto l'impianto del testo di legge. D'altronde non sono un fine giurista e mi sono presuntuosamente cimentato nella stesura solo per dare praticità e concretezza all'idea. Il "legalese" è un linguaggio concreto, sintetico e soprattutto emotivamente distaccato.
Sono presenti molte lacune, comunque teniamo presente che è una legge costituzionale, la Grande Legge Quadro di una nazione, che infatti rimette alla legge ordinaria penale il compito di specificare i necessari dettagli di ogni parte, e certamente a successivi regolamenti attuativi sia per lo svolgimento della fase di giudizio che di esecuzione della sentenza. Certamente la parte più delicata è quella che richiede un minimo di codifica di quali siano le parti lese ammissibili, perché se è scontato che lo possano essere i componenti del nucleo familiare della vittima o i suoi parenti di primo grado, la cosa si complica se pensiamo a parenti di secondo o successivo grado, ad amici o conoscenti, a colleghi di lavoro o di hobby, e si può proseguire ancora elencando tutti gli insiemi di persone che possono appartenere alla cerchia di relazioni di un individuo. Anche l'ordine di priorità tra le parti lese è importante da stabilire, ma qui termino la discussione "tecnica" che non è il punto centrale della questione, in questo momento, e certamente non è impossibile da risolvere.

Pur nella complicazione del dispositivo, emergono due principi importanti da un impianto normativo di questo tipo, già in parte enunciati e che sottolineo in questo breve anticipo di riepilogo:
1) Lo Stato, e solo lo Stato, può essere inquirente e giudice per questi casi. Sia per determinare la colpevolezza che per somministrare la pena, nessun altro soggetto terzo può essere chiamato in causa. Questa cosa che sembra ovvia ha una conseguenza definitiva: non ci si fa giustizia da sé, nel senso classico del termine. Di fatto non sono ammessi processi sommari, tribunali del popolo o linciaggi, ed è molto importante questo principio.
2) L'esecuzione della pena non è delegabile a nessuno, Stato compreso, e questo principio è forse la novità vera di tutto l'impianto. Non sono ammessi sicari, e lo Stato non si fa sicario di nessuno, nemmeno per "fare giustizia". E' la parte lesa, e solo lei, che deve dare conferma della volontà di eseguire questo tipo di pena e in seconda istanza ne deve dare esecuzione fattiva personalmente.

Rimane la questione della:
PENA DI MORTE PER "NECESSITA' COLLETTIVA"
Fermo restando i punti fermi già ottenuti analizzando la Necessità Individuale, in questo caso dobbiamo solo aggiungere qualche considerazione.
Occorre subito dire che solo le nazioni che non prevedono in alcun modo la guerra e che non dispongono di eserciti e milizie si possono dire completamente prive della pena di morte in ogni forma. Che cos'è infatti la guerra se non una situazione che legittima l'uccisione di individui per una "causa di Stato"? Questa forma di pena di morte esiste praticamente ovunque e ci ha permesso di citare subito la definizione vera di necessità collettiva: la Causa di Stato.
Ma, a parte la guerra, cos'altro rimane? L'ordinamento che ci siamo proposti non consente linciaggi e richiede una parte lesa "fisica", e lo stato quindi, se danneggiato da un omicidio può al limite rifarsi come "parte civile" per i danni non avendo fisicità e quindi sentimenti da far rivalere per eseguire una condanna. Anche l'uccisione di un dipendente dello Stato, anche nell'adempimento del suo servizio allo Stato, non può diventare eccezione. Sulla persona uccisa lo Stato non ha alcun diritto di proprietà e men che meno d'amore o fratellanza, perché lo Stato è appunto un concetto astratto, una convenzione, una organizzazione e nulla di più, per cui si torna al caso della Necessità Individuale, perché il "servitore dello stato" è anzitutto una persona con familiari, con affetti e vita personale come chiunque altro.
La guerra è il solo caso di pena di morte, applicata svolgendo le sue funzioni di difesa della popolazione, eseguita dallo stato per Necessità Collettiva.


CONCLUSIONI
I Due Principi prima enunciati, che potrei titolare così:
1) Stato Laico Arbitro (parte inquirente e giudicante)
2) Parte Lesa Esecutrice (parte lesa che sceglie la pena estrema e la esegue personalmente)
realizzano quello che all'inizio ho titolato come:
Omicidio Giustizialista Perfetto - Pena di Morte Correttamente Attuata.
Sono principi di Etica Laica che ritengo interessanti e facilmente condivisibili al di là dell'etica, della fede e delle idee politiche di ogni singolo individuo, e su questo aspetto vorrei fare una precisazione prima di passare alla pena di morte per Necessità Collettiva.
Stiamo parlando di individui che vivono in uno Stato che contempla la pena di morte come possibile pena e nel quale il dibattito fra chi la vuole mantenere e chi la vuole abolire è molto acceso e non porta ad alcun cambiamento, perché è questa la situazione per la quale sto scrivendo e forse solo ora vengo a precisare. Sappiamo tutti che alcune religioni o filosofie non ammettono l'uccisione di un essere umano per nessuna ragione, in alcuni casi non ammettono l'uccisione di alcuna forma di vita animale, e quindi ne consegue che la discussione sulla pena di morte con i loro adepti può sussitere solo sul tema "Pena di morte: sì o no", con costoro che impiegheranno ogni sforzo per convincere chi dice Sì a passare tra quelli che dice No. Peccato che spesso avviene che chi dice Sì pensi la stessa cosa ed abbia le stesse intenzioni proselitrici dei primi, e che quindi quello che ne viene fuori è quasi sempre un dibattito abbastanza sterile, spesso anche infuocato, utile solo agli indecisi tra gli spettatori (forse) e a rafforzare le reciproche convinzioni dei contendenti (quasi sicuramente). S'aggiunga poi che tra gli "adepti" del Sì ci sono religiosi che in virtù della libertà di religione e d'opinione meritano lo stesso rispetto dei primi citati, e che poi il Fronte Giustizialista dell'opinione pubblica è una miccia sempre accesa che a un minimo fatto di cronaca emerge con prepotenza e nei dibattiti pubblici, in particolare in quelli televisivi, queste persone hanno tono di voce alto e vibrato a sufficienza per schiacciare i miti, pacifici e afoni adpeti del No.
Lo dico senza arroganza: questo testo è superiore a tutto ciò!
Scevro da ogni idea religiosa o filosofica, di cui pure dispongo, ho deciso di affrontare la realtà, che può piacermi o meno, e che dice che molte, moltissime persone, variegatissime per cultura in genere, come detto all'inizio del testo, sono per il Sì alla pena di morte, e con queste chi è per il No si deve confrontare apertamente, magari cercando una soluzione intermedia e applicabile, non fittizia o meramente ideologica che non porta a nulla se non al contrasto e ad applicare la legge del più forte. La legge del più forte non è proprio la massima espressione di una civiltà evoluta ed intelligente.

LA MIA OPINIONE SULLA PENA DI MORTE
Quest'ultimo paragrafo l'ho aggiunto solo dopo aver riletto più volte tutto il testo che precede per verificare se avevo ottenuto il risultato di scrivere un discorso distaccato dal mio parere personale, e mi pare di esserci riuscito. Non è il mio un bisogno di soddisfazione autoreferenziata, ma semplicemente il desiderio di provocare nel lettore motivo e spunti di riflessione per termini assoluti e non relativi al mio schieramento.

Io sono assolutamente contrario alla guerra e alla pena di morte!
E' una scelta, una filosofia, che non ha spiegazioni razionali o materialistiche, quindi non ci provo nemmeno a dire il perché e il percome ho questa opinione.
Dicendomi "contrario alla guerra" non pretendo con questo che la nazione in cui vivo lo debba essere e mi rimetto alla maggioranza o semplicemente alla forma di decisione presente nella nazione stessa. Se però la nazione mi chiede di andare a fare la guerra io non ci vado e non ci sarà modo alcuno di convincermi a farlo, perché non mi sento in grado di uccidere un uomo a freddo, senza alcun risentimento particolare come sopra descritto.
Dicendomi "contrario alla pena di morte", anche in questo caso, non pretendo che lo sia anche la nazione in cui vivo. Mi rimetto ancora una volta al sistema decisionale vigente. Se però dovessi ritrovarmi a dover decidere se uccidere o meno la persona che ha causato la morte di un mio familiare sono certo che a freddo direi che - No, io non posso ucciderlo -, sono sicuro che direi questo. In questo senso la proposta di cui sopra, se accettata in un paese dove della pena di morte proprio non se ne può fare a meno, mi lascerebbe la libertà di vivere secondo le mie convinzioni e non secondo quelle degli altri. Non potrei sopportare l'idea che un uomo, per un danno che ha leso la mia vita, venga ucciso dagli altri o dallo Stato in mio nome e conto.

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