martedì 23 marzo 2004

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Piango Emanuele

Emanuele
è un bambino
di sei mesi, accesi
a fuoco vivo
dalla sofferenza di un cuore,
di un organo
vitale a lui negato
da un'impietosa natura.

Stamane s'è spento,
silente.
Il buio ha avvolto,
in un piccolo,
vastissimo
sudario bianco,
i suoi cari.

Ma gli occhi, gli occhi, gli occhi!
I tuoi occhi, Emanuele!
Han smesso
di piangere le lacrime
semplici,
di un bambino.

Ogni vita ha una Ragione.

Il viso di un vecchio,
morto,
l'ho visto e pianto,
tante volte e tante,
ancora,
lo vedrò.
Condensa esperienze
nei tratti,
ogni ruga è il sepolcro
di un evento,
nato e morto,
con lui e in lui,
come ogni fenomeno
di questo imparziale universo.
Ma, nell'ultimo evento,
a nessuno
è concesso vedersi.
Un vecchio morto
è una vita compiuta.
Non ti chiedi Perché.

Il viso di un bambino,
morto,
l'ho visto e pianto,
poche volte
e poche,
ma troppe volte,
ancora lo vedrò!
E' una prova troppo dura per me!

Ricordo ancora vivi,
sogno ed incubo,
i Giorni Eternità
in ospedale,
dai miei figli, Leonardo e Lorenzo.
Erano nati su un crine, teso
tra il Deserto
Morte e l'Isola
Vita.
Sotto c'eravamo noi,
genitori,
affogati in un oceano
di disperazione,
di collassi.
Dannati dal fato.
Condannati a nuotare,
volevamo esser ponti.
Eravamo solo boe
disancorate.

Tanti, tanti, tanti neonati ho visto
morire.
Al mattino,
genitori della Terapia Intensiva,
dopo notti di ghiaccio
correvamo alle incubatrici.
Erano capezzali di vita.
Respiravamo la morte.

L'imparziale Governo
di noi ha avuto pietà.
Altri oceani attraversiamo ora,
di ignoranza, indifferenza,
egoismo,
verso chi indossa l'Handicap,
verso chi promuove,
con la propria carne,
la grande Cultura
della diversità.
Ma questi oceani
li attraverso coi miei figli:
i miei Maestri.
Non sono solo.

Emanuele,
quei giorni,
me li ha ricordati.
Le croste sul mio viso,
indurito dalla fatica e
dalle mille collere,
sciolte son colate
in un pianto sorriso,
felice,
di un uomo che torna
all'Uomo,
con in mente le gote
rosse, di un bambino.

Alla morte di un bambino,
di un figlio,
non ci sono Perché.
No No No No Nooo!
Non ci sono
Perché.

Ha fatto qualcosa di Male, forse?
Cosa voleva il destino da Lui?
Non aveva diritto a vivere come gli altri bambini?
Già, già, già... è la legge della vita, eh già!
Ma io non l'accetto questa legge! E' una legge ingiusta!
Se la tengano i predicatori, i pensatori,
quelli che non hanno figli,
quelli che non si interessano ai bambini,
quelli che non hanno cuore,
quelli che pensano solo a se stessi,
quelli che sono soltanto "quelli":
che ne capiscono loro?

Io avevo un figlio.
Era Lui la Legge
della mia vita.
Una legge semplice,
della vita
che si perpetua.
Vengono a schiere,
a consolarmi.
Siete gentili, grazie, ma...
Basta per carità, vi scongiuro, andatevene!
Io voglio solo piangere.
Lasciatemi solo, a piangere.
Lui, mio figlio, Lui,
Lui non c'è, non è, non...
Io voglio stare
con Lui, raggiungerlo
anche, per un attimo,
nella sua pace.
Con le lacrime.
Con le preghiere.


Un bambino si piange
una Prima volta.
Nella testa scoppia
impetuoso
un fuoco.
Tutto pulsa nel corpo:
è il battito di un cuore
che ama e vorrebbe
venire con te,
amato figlio,
nella morte.
Le arterie
come idrovore
non nutrono la carne:
svuotano il cuore.

Un bambino si piange
una Seconda volta.
Nelle cose, banali
e non altrimenti,
di ogni
inutile
restante
giorno.
Il cibo ti nutre,
il vestito ti copre,
la musica ti distrae,
un libro ti impegna,
il lavoro...
si deve fare.

Un bambino si piange
una Terza volta.
Non riesci più ad amare,
a dare
agli altri quello che
l'incolpevole figlio
ha sepolto con sé.
Il camposanto è casa,
è amore, è tutto.
La morte è la tua vita:
la vita vorresti
fosse morte.

Ma sei all'ultimo pianto.
Il buio più nero
che precede l'alba.

Poi,
improvvisamente,
ti illumini
di vita.

Non cerchi un Perché:
cerchi una Ragione.
Non raccogli il Passato:
semini il Futuro.
Non guardi il Morto:
idealizzi il Vivo!
Educhi il figlio,
al meglio che puoi.
Tuo figlio rinasce
eterno
dentro di te.

Una Tempesta!
Una Rivoluzione!
L'avresti realizzata
senza aver superato,
dolorosamente,
la più grande delle sofferenze?

La gioia della "normalità"
si chiama Banalità.
Se la tengano i "normali"!
A noi fa sbadigliare.

La gioia della sofferenza
provata e Trasformata,
Rivoluzionata,
si chiama Felicità.
A questa aneliamo!

Emanuele
con sé
non ci vuole
seppellire.

La tomba sarà
su misura,
per le sue membra
incolte.
Non cerchiamo uno spazio
che non c'è
e non ci deve
essere concesso.
E' spirato innocente.
Tempo non gli è stato dato
a recar offese.
Non creiamogli noi,
genitori,
colpe che non ha.
Ci ha reso felici da vivo.
Sapremo costruire Felicità
Suprema
con lui morto.

Facciamo tutto ciò,
insieme se volete,
con calma,
senza fretta.
Ogni passo
prepara il successivo.
Nell'anima non si corre:
si cammina.

Ti piango Emanuele.
Di felici lacrime
nutrirò
i fiori sul tumulo.
Oggi la campana
dei defunti ha vibrato
tuonante un colpo,
un solitario colpo,
per il più giovane,
il più incompiuto
dei miei amici,
dei miei
morti.

mercoledì 10 marzo 2004

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La vita del Budda

(sintesi dell'opera omonima di Daisaku Ikeda, 1978)

Mi sono costruito una immagine di Shakyamuni: un uomo che parla con semplicità; sorridente con gli altri; a volte con distacco, a volte con fierezza, a volte in silenzio, percorre sempre il suo cammino.
Così Ikeda si immagina Shakyamuni. Un Esempio di Essere Umano.
Non si può far molto per conoscerne la vita con certezza. Nulla fu scritto quando era in vita e, di quanto scritto dopo, poco si può sapere a riguardo di date storiche o biografiche. Il popolo indiano manifesta ancora oggi Indifferenza nei confronti del Tempo, mentre mostra grande propensione al Pensiero Speculativo ed alla Filosofia in generale: questo aspetto del temperamento indiano è bene tenerlo presente. L'approccio più concreto alle antiche scritture indiane non consiste nello scoprire ed eliminare gli elementi leggendari, ma nell'esaminarne le ragioni.


I Nomi di Shakyamuni

(p. 9)

Sono tutti in sanscrito.
- Shakyamuni Bhagavat: "Saggio degli Shakya, l'Onorato del mondo, il Beato". In Giappone lo chiamano Shakuson.
- Buddha: "l'Illuminato", "Svegliato", "Colui che è illuminato sulla realtà ultima". E' un termine preesistente al Buddismo. Indica un genere, non è un nome proprio.
- Gautama Budda: utilizzato nel Theravada, nome di famiglia.
- Siddhartha: attribuitogli nell'infanzia, "che ha raggiunto lo scopo".

La tribù degli Shakya e Ambientazione Storica

(p. 10)

Si trovava nella città fortificata di Kapilavastu, probabilmente alle pendici meridionali dell'Himalaya. Era una città popolosa e agricola.
Shakyamuni è nato secondo tradizione nei Giardini di Lumbini, poco lontano dalla città. Era il cosiddetto periodo dei "16 grandi regni", e l'India era spesso teatro di lotte. Fra i regni più importanti, quello del Koshala, guidato dal re Pasenadi, e quello del Maghada del re Bimbisara, quest'ultimo capodinastia dei Maurya il cui 3° monarca è il famoso re Ashoka.
Il regno degli Shakya non era tra i "grandi", e subiva l'influenza dal Koshala. Si trattava di un piccolo stato semiautonomo, probabilmente in declino.
Il periodo di cui trattiamo si stima tra il VI e il V sec. a.c. .

La famiglia di Shakyamuni e La sua giovinezza

(p. 14)

Il padre si chiamava Shuddhodana, che significa "pura pappa di latte", che è riso bollito nel latte (ne deriva un regno dedito all'agricoltura e alla pastorizia).
La madre si chiamava Maya e morì una settimana dopo il parto.
Shakyamuni fu allevato dalla zia materna Mahaprajapati.
Fisicamente Shakyamuni fu descritto come dotato dei "32 segni fisici fondamentali e 80 segni secondari" (40 denti, braccia fino al ginocchio, ecc...). Un "mostro", per intendersi. Sono metafore che derivano dal Brahmanesimo , intese a simboleggiare grandi virtù.
Shakyamuni invece descrive il suo corpo come "una struttura snella e molto delicata" e di essere stato "allevato con grandi cure". Figlio di un re ed orfano di madre, il padre fece tutto il possibile per crescerlo nel migliore dei modi, sia fisicamente che intellettualmente. Queste "cure" si intensificarono quando il padre percepì la volontà del figlio di abbandonare il regno per dedicarsi alla vita religiosa.
A 16 anni sposò Yashodhara che era sua cugina. Una improbabile leggenda vuole che la vinse in un duello d'armi ad un altro cugino di nome Devadatta, che era molto più giovane di lui. Simboleggia solo l'inizio di una rivalità molto importante nella vita di Shakyamuni.
Shakyamuni ebbe un unico figlio di nome Rahula, che diventò poi uno dei 10 principali discepoli.

La Grande Partenza

(p. 19)
Secondo la Leggenda Shakyamuni viveva essenzialmente entro le mura del palazzo reale. In 4 occasioni poté uscire dalle porte insieme al suo servo. La 1° volta uscì ad Est e vide un Vecchio; la 2° volta uscì a Sud e vide un Malato; la 3° volta uscì a Ovest e vide un Cadavere; la 4° ed ultima uscì a Nord e vide un Religioso che lo commosse.
Il Buddismo nasce per risolvere le cosiddette "4 Sofferenze": nascita, malattia, vecchiaia e morte. La Nascita non sembra citata nelle "4 porte", ma la nascita di Shakyamuni, così come lo conosciamo, non coincide con l'inizio della sua vita religiosa?
Le 4 sofferenze sono Inevitabili ed Intrinseche alla vita stessa. Trovare una via per trascenderle significa trovare la Felicità Assoluta, invero quella felicità indipendente dalle circostanze.
Shakyamuni scelse di diventare un re-filosofo rinunciando al potere ed ai privilegi del potere temporale. Oggi giudicheremmo un comportamento simile come "eccentrico", ma all'epoca in India non era un fatto straordinario.


L'ascetismo e la società indiana

(p. 23)
L'usanza di ritirarsi nelle foreste a meditare risale all'epoca delle Upanishad (3 sec. prima di Shakyamuni) ed è diffusa ancora oggi. Il poeta e filosofo indiano Rabindranath Tagore dice che "la civiltà indiana nacque nella foresta".
La vita dei Brahmani era divisa in 4 periodi:
1) Studio: dai 7 ai 19 anni istruzione religiosa.
2) Vita di famiglia e società (periodo più lungo): dai 20 ai 50 anni.
3) Vita della foresta: dopo aver generato almeno un erede si ritira a meditare.
4) Isolamento e Peregrinazione: vita in povertà e di elemosina.
Era un vita profondamente radicata nella religione.
Shakyamuni non seguì la tradizione per intero, perché saltò la fase 2) .


La partenza e le peregrinazioni

(p. 26)
Shakyamuni parlò al padre della sua intenzione di dedicarsi alla vita religiosa, seppur così prematuramente. Come abbiamo detto, Shuddhodana fece tutto il possibile per impedirlo. Alla fine riuscì, è il caso di dirlo, a fuggire di nascosto.
Shakyamuni comincia così a viaggiare da solo, a piedi, verso il Maghada. Si taglia i capelli, si libera di gioielli ed ornamenti, veste l'abito del monaco mendicante.
I monaci buddisti venivano chiamati "munda" che significa "coloro che hanno la tonsura". Tradizione iniziata proprio da Shakyamuni.
La questua era una pratica diffusa, fatta con dignità senza essere ossequiosi o servili. Il Bhikkhu ("colui che mendica il cibo"), la persona che ha scelto la via dell'ascetismo, era considerato con grande rispetto. Non ringraziava mai, ma non dava alcuna importanza a cosa gli si offriva e soprattutto da chi.
In India vigeva un rigido sistema che divideva la popolazione in 4 caste: i Brahmani o sacerdoti, i guerrieri, i mercanti e proprietari terrieri, i contadini e servi. Non c'era alcuna possibilità di cambiare in vita la casta di nascita. Le caste superiori prendevano tutte le precauzioni per evitare di "contaminarsi" con quelle inferiori. Questi Bhikkhu quindi, accettando cibo da chiunque, "rifiutavano" il sistema sociale così com'era organizzato all'epoca.


La nascita di una nuova cultura

(p. 29)
Il Koshala e il Magadha erano gli stati più grandi e potenti dell'India, dove era quindi più probabile trovare "maestri" religiosi. Ma il Koshala "conosceva" Shakyamuni.
Il Magadha, distante 600 km dal regno degli Shakya, garantiva anonimato ed era anche il centro di una nuova cultura. La classe dei mercanti diventava molto ricca, e quella dei guerrieri, che desiderava un re, aumentava il suo potere. I Brahmani che imponevano strutture tribali erano in seria difficoltà. Emergevano anche Pensatori che ripudiavano apertamente la tradizione vedica e rifiutavano la struttura delle caste. Venivano chiamati Shramana che significa "colui che pratica la penitenza religiosa".


I 6 maestri non buddisti

(p. 32)
Anche se non-buddisti sono in ogni caso citati nei testi buddisti. Erano i 6 uomini "guida" degli shramana, ed erano: Makkhali Gosala, Purana Kassapa, Ajita Kesakambala, Pakhuda Kaccayana, Sanjaya Velatthiputta e Nigantha Nataputta.
Nigantha Nataputta
è il più famoso, fondatore del Gianismo, religione dal precetto fondamentale "Non uccidere" applicato con rigore. E' una religione che insiste molto sulle pratiche ascetiche estreme (mortificazioni corporali).
Ajita Kesakambala predicò una dottrina Materialista, sostenendo che ogni cosa è formata solo da terra, acqua, fuoco e vento. Nulla rimane dell'uomo dopo la morte. Queste dottrine alla lunga portano inevitabilmente al nichilismo e alla degenerazione morale. Attecchiscono facilmente in un clima di "rivolta" o "protesta" verso le tradizioni, come quello indiano dell'epoca.
Sanjaya Velatthiputta, scettico e nichilista, noto perché scelto come maestro da Shariputra e Maudgalyayana, successivamente diventati importanti discepoli di Shakyamuni.
Makkhali Gosala, il Fatalista: ogni cosa risponde a leggi ineluttabili. Il karma rappresenta un destino immodificabile.
Purana Kassapa è fatalista fino al nichilismo. Nega l'esistenza del karma e afferma che tutti i fenomeni sono privi di rilevanza. Nulla è quindi importante, non esistono valori e moralità nell'uomo.
Pakhuda Kaccayana si distingue: ai 4 elementi di Ajita Kesakambala ne aggiunge altri "spirituali".Il dolore, il piacere, l'anima immortale e immutabile. L'uomo deve assicurare stabilità all'anima.
Secondo lo studioso di buddismo Fumio Masutari, i 6 maestri stanno a Shakyamuni come i sofisti a Socrate. Come Socrate con i sofisti, Shakyamuni attinse dalla "protesta" e speculazione dialettica e filosofica dei 6 maestri, per poi sopravanzarli, alla ricerca di una dottrina che fornisse Risposte e non Negazioni.

Gli anni dell'ascesi

L'incontro con il Re Bimbisara

(p. 39)
La tradizione vuole che il re, guardando da una torre del suo palazzo dei monaci che si aggiravano per Rajagaha (capitale del Magadha), notò Shakyamuni e fece di tutto per incontrarlo. Capì che Shakyamuni aveva origini nobili e gli offrì enormi ricchezze ed il comando dei suoi eserciti.
Bimbisara è citato in diversi testi buddisti come persona di straordinarie qualità umane. Amava circondarsi di persone di talento in ogni campo, e ne era costantemente alla ricerca.
Shakyamuni rifiutò garbatamente l'offerta, dicendo che era alla ricerca della Verità. Allora Bimbisara gli chiese l'onore di essere il primo a conoscere le sue future scoperte e Shakyamuni glielo promise. Bimbisara diventò poi un suo seguace.
Anche il figlio di Bimbisara, Ajatashatru, divenne seguace di Shakyamuni, dopo però averne combinate delle belle in combutta con Devadatta, come vedremo più avanti.


I due eremiti Brahmani

(p. 42)
Shakyamuni inizialmente decise di seguire 2 saggi eremiti, maestri nella meditazione Yoga, che furono in ordine: Alara Kalama, che aveva raggiunto lo stadio noto come "la sfera del nulla", e Uddaka Ramaputta, che aveva raggiunto la "sfera dove non vi è coscienza né non-coscienza".
La Meditazione Yoga era tra le pratiche ascetiche tenute in maggior considerazione, e al tempo di Shakyamuni aveva assunto un significato filosofico e religioso più specifico. Il suo scopo era quello di Emancipare il proprio essere interiore dal corpo e dalla materia attraverso il controllo psichico autogeno. Tra le correnti del buddismo lo Zen è probabilmente quella più simile allo Yoga.
Lo scopo, in breve, è Liberarsi dalle sofferenze insite nella condizione umana.
Ma cosa si intende allora per Libertà? Oriente ed Occidente hanno mediamente visioni diverse: l'occidente si focalizza in particolare sulle "libertà sociali"; l'oriente punta invece ad "affrancarsi" dalle sofferenze umane, indipendentemente dalla società. I termini stessi del sanscrito (vimukti) e del giapponese (gedatsu) si traducono con Libertà, ma non hanno vocaboli realmente corrispondenti nelle lingue "occidentali". Il buddismo insegna che la via giusta è In Mezzo a questi 2 estremi, ma poi vedremo il perché.
Gli "stadi" di Samadhi (concentrazione) raggiunti da Alara Kalama ("la sfera del nulla") e da Uddaka Ramaputta ("sfera dove non vi è coscienza né non-coscienza") furono incorporati nei metodi buddisti di meditazione e disciplina. Shakyamuni seguì e superò ben presto i 2 maestri, ma non percepì questi risultati come la "meta raggiunta" della sua ricerca. Decise quindi di dedicarsi a forme di ascesi più severe.

La pratica dell'ascesi

(p. 45)
Vi dedicò 6 anni secondi alcuni, 10 anni secondo altri, in una foresta. Il luogo viene descritto come incantevole, ma le pratiche ascetiche furono durissime.
La pratica dell'ascesi si basa sull'Opposizione Dualistica tra Mente e Materia, ricercando appunto la liberazione da quest'ultima.
Le pratiche ascetiche erano di 4 tipi: il controllo della mente; la sospensione del respiro; il digiuno assoluto; una rigida dieta.
La sospensione del respiro era la più difficile. Si ferma il respiro di naso e bocca e il corpo comincia a respirare dalle orecchie che dolgono fortemente per dei rimbombi. Quando si interrompe il respiro delle orecchie arrivano violenti dolori alla testa. Lentamente il corpo arriva all'immobilità.
Il digiuno fino a una settimana era per i principianti. Gli "esperti" arrivavano a digiunare per 6 mesi. Nove degli undici principali seguaci di Nataputta (giainismo) digiunarono fino alla morte.
Ma perché Shakyamuni si dedicò a queste pratiche? Era un uomo di quei tempi, in cui si credeva che l'ascesi fosse la vera via per ottenere l'illuminazione. Egli si dedicò all'ascesi con una disciplina ed una severità mai viste prima, sottoponendosi a tremende torture. Ero lo sforzo commisurato allo scopo che si era prefisso. I 5 asceti che lo accompagnavano nelle pratiche temettero spesso per la sua vita.


L'abbandono dell'ascesi

(p. 49)
Si legge nel Dharmachakra-pravartana Sutra: "Vi sono 2 estremi in questo mondo, o monaci, che l'asceta dovrebbe evitare. Quali sono? Il dedicarsi ai desideri e l'indulgere al piacere dei sensi, che è cosa spregevole, bassa, depravata, ignobile e infruttuosa; la ricerca delle privazioni e della tortura, che è cosa dolorosa, ignobile e infruttuosa.
Vi è una Via di Mezzo, o monaci, scoperta dal Tathagata, che evita questi 2 estremi...
".
Edonismo ed Ascetismo sono poli opposti che hanno 1 caratteristica comune: sono prodotti del pensiero dualistico tra mente-spirito e corpo-materia.
Ciò che il buddismo chiama "buon senso" è la cosiddetta Via di Mezzo, la suprema filosofia che insegna che "corpo e mente" (shiki-shin) sono "due ma non-due" (funi). Il termine Funi compare spesso nei princìpi buddisti, come ad esempio Esho-funi (Unità di corpo/vita e ambiente). La legge universale abbraccia tutti gli esseri, senzienti e insenzienti, in ogni istante: non può esserci alcun dualismo perché ogni fenomeno ha un Origine Dipendente (interdipendenza) dagli altri fenomeni, in perfetta armonia (coerenza ineluttabile di causa-effetto simultaneo).
I 5 asceti, o Bhikkhu, che seguirono Shakyamuni durante quegli anni si sorpresero della sua decisione. Inizialmente dissero che egli si era dato al lusso ed aveva rinunciato alla lotta. Poi, come vedremo, diventarono i suoi primi 5 discepoli.

L'illuminazione

Buddh Gaya

(p. 53)
Shakyamuni si lavò in un fiume. Usanza tuttora praticata in India, lavarsi in un fiume simboleggia la volontà di purificare corpo e spirito. E' il gesto con cui Shakyamuni abbandona l'ascesi definitivamente.
Dopo aver mangiato una pappa di riso e latte, offertagli da una fanciulla di nome Sujata, Shakyamuni andò a sedersi sotto un grande albero "pipal" (poi chiamato albero della Bodhi o Illuminazione), molto diffuso nell'India dell'epoca, nella città di Gaya. Molti asceti indiani meditavano all'ombra di alberi e il pipal era tra i preferiti.
Gaya, oggi ribattezzata Buddh Gaya, è la località dove oggi sorge un tempio famoso, meta di pellegrinaggi e turismo.


La tentazione di Mara

(p. 55)
Prima di ottenere l'illuminazione Shakyamuni viene attaccato dal Re Mara: "Sei Stanco e debole[...] i tuoi sforzi sono vani e futili, perché la via al vero Dharma è dura, dolorosa e inaccessibile".
Il demone Mara attacca con l'Intimidazione e più avanti userà la Tentazione. Mara viene indicato come "Colui che uccide".
Ma cosa sono i demoni? Sono forze che emergono dall'intimo di chi intende raggiungere l'illuminazione. La filosofia buddista parla di Sansho Shima noti come "tre ostacoli e quattro demoni".
I 4 demoni, o 4 Mara, sono:
1) Bonnoma ("demone dell'inganno")
Rappresenta errori e cattive azioni che nascono dai desideri. Distrugge il corpo.
2) Omma ("demone della malattia")
3) Shima ("demone della morte")
4) Tenjima ("demone imperatore" o "demone del sesto cielo")
E' il più potente. Rappresenta l'ignoranza essenziale, l'inganno filosofico, la mancanza di comprensione.
Mara attacca Shakyamuni con i suoi 10 Eserciti:
1) Lussuria
2) Avversione
3) Fame e Sete
4) Bramosia
5) Ignavia e Indolenza
6) Vigliaccheria
7) Dubbio
8) Ipocrisia e Stupidità
9) Profitto, Fama, Onore e Gloria falsamente ottenuti
10) Lode di sé e Condanna degli altri
Tutto ciò descrive, come detto, qualcosa che avvenne nell'intimo di Shakyamuni. Il demone e i suoi eserciti agiscono all'interno dell'individuo, seppur provocati da cause esterne.
Vincere l'Intimidazione di Mara è stato il 1° Passo per ottenere l'illuminazione, e ne possiamo recepire il messaggio che "se una persona ha da raggiungere uno stato di grande illuminazione spirituale, non deve essere distratta da allettamenti e dal richiamo dei suoi futili desideri terreni.[...] I demoni non pervadono l'universo ma risiedono nella mente degli uomini" (Ikeda).
A prescindere dalla pratica religiosa seguita, raggiungere l'illuminazione non è e non potrebbe essere facile. E' bene non farsi illusioni su questo punto.


Che cos'é l'illuminazione

(p. 58)
Shakyamuni ottenne l'illuminazione all'alba.
Descrivere cosa fosse questa Illuminazione non è possibile. Il Daishonin stesso dice che l'illuminazione può essere "compresa solo tra Budda", con la loro stessa vita. Osando un po', dal momento che si comprende la totale compenetrazione tra la Legge presente nell'individuo e la Legge che regola l'universo, si può descrivere l'illuminazione come "una sorta di Risonanza verificatasi fra due condizioni di Budda: quella Universale e quella Individuale" (Ikeda). Questa Risonanza è percepibile in tutti gli stati vitali. Quando però avviene con la nostra Buddità intrinseca affermiamo che si tratta di Illuminazione, ovvero quella condizione interiore che può mutare il destino di una persona.


L'essenza dell'illuminazione di Shakyamuni

(p. 61)
Questo 1° Passo dell'illuminazione di Shakyamuni viene riportato nelle scritture in sanscrito con il termine "anuttara-samyak-sambodhi", che significa "saggezza insuperata e perfetta". Ma cosa avvenne quella notte, prima dell'alba? La veglia di Shakyamuni è descritta in 3 periodi.
Nel 1° periodo (o prima veglia) raggiunse la "saggezza dell'infinito passato". Dopo essersi distaccato tramite la meditazione da ogni attaccamento terreno, percepì tutte le sue vite passate e le vite passate degli universi.
Nel 2° periodo raggiunse la "saggezza dell'infinito futuro".
Comprese che non vi è sicurezza alcuna nel continuo fluire e rifluire delle esistenze in quanto la minaccia della morte e sempre presente.
E' il Karma che governa le vite di tutti gli esseri attraverso passato presente e futuro, in un processo di continua Trasmigrazione.


La legge della causalità

(p. 64)
Nel 3° e ultimo periodo Shakyamuni percepisce "la saggezza della legge di causa ed effetto". La teoria della causalità spesso è definita come "la fondamentale Interdipendenza delle cose". Si parla anche di "origine dipendente" o "produzione condizionata". Ogni cosa è, di per sé, materialmente vuota: tutto il suo significato va ricercato nel suo Interagire con l'universo, quindi con la
Legge.
"Nulla, sia nella natura sia nella società umana, conosce un momento di pausa, di riposo. Tutte le cose dell'universo sono in flusso costante, si levano e ricadono, appaiono e scompaiono, in termini sia temporali che spaziali". E' la Legge della Vita, un ciclo incessante di nascite e morti. Shakyamuni levò un grido di meraviglia a questa scoperta, come uno scienziato che trova conferma alle sue intuizioni.

Shakyamuni il maestro

La decisione di divulgare la legge

(p. 69)
I sutra Agama affermano che Shakyamuni rimase seduto a lungo ad assaporare la beatitudine della comprensione assoluta. Poi però subentrò il turbamento: occorreva decidere se rivelare ad altri la sua scoperta.
A questo punto appaiono Mara e Brahma.
Mara, con la cosiddetta Tentazione, gli suggerisce che non è necessaria alcuna divulgazione. Poi Shakyamuni reagisce e decide invece di condividere con tutta l'umanità ciò che lui ha ottenuto, e questo processo viene definito "la preghiera di Brahma".
E' un momento decisivo: Il 2° Passo dell'illuminazione di Shakyamuni. Se non fosse avvenuto Shakyamuni si sarebbe fermato a quello che conosciamo come l'8° stato vitale, il cosiddetto "mondo di realizzazione", chiamato in giapponese engaku e in sanscrito pratyeka-budda. Le persone in questo stato si possono definire anche "budda per se stessi" perché non hanno a cuore la felicità delle altre persone. Shakyamuni superò questo stadio, decidendo di praticare la via del Bodhisattva (9° mondo), manifestando quindi la più alta condizione vitale della Buddità (10° mondo). Possiamo definire il Budda l'Illuminato che pratica la via del Bodhisattva.
Secondo alcuni studiosi il "turbamento" di Shakyamuni era la "solitudine del Vero illuminato". "Tutti i grandi maestri della storia hanno conosciuto questo problema. Il saggio è sempre solo fra gli uomini, poiché egli solo conosce la verità[...]. Ma Quando prende la decisione di diffonderla, allora la verità da Chiusa diventa Universale. Soltanto allora egli cesserà di sentirsi solo" (Ikeda).


La ruota della legge

(p. 71)
Trascorse un mese dall'illuminazione al giorno in cui fece la sua prima predica a Sarnath, vicino la città di Benares. Volle anzitutto predicare ai 5 Bhikkhu con cui aveva condiviso il periodo ascetico.
I 5 asceti, per la diffidenza nata in loro quando Shakyamuni lasciò la foresta, lo trattarono inizialmente con freddezza, per poi ricredersi ben presto fino a diventare appunto i suoi primi 5 discepoli. Kaundanna in particolare fu il primo discepolo, perché fu il primo a comprendere gli insegnamenti di Shakyamuni.
Quale fu il primo insegnamento di Shakyamuni?
Opinione più diffusa è che Shakyamuni predicò la Via di Mezzo di cui abbiamo parlato prima, sollecitando il rifiuto dei 2 estremi, l'edonismo e l'ascetismo eccessivo, insegnando le "4 nobili verità" e l' "ottuplice sentiero".

Le 4 nobili verità sono una dottrina realistica e pratica:
1) tutta l'esistenza è dolore
2) il dolore è causato dall'egoismo
quindi la soluzione al problema:
3) l'egoismo può essere eliminato
4) questa eliminazione avviene seguendo l'ottuplice sentiero

L'ottuplice sentiero è appunto un "percorso" di princìpi da seguire:
1) retta visione
2) retto pensiero
3) retta parola
4) retta azione
5) retta vita
6) retto sforzo
7) retto ricordo
8) retta concentrazione
Era un "programma semplificato di pratica religiosa", ma non per questo una visione approssimativa dell'illuminazione di Shakyamuni.
La prima predica di Shakyamuni viene anche descritta come "la prima messa in moto della ruota della legge". Era una descrizione ispirata alla tradizione indiana del santo ideale, il Chakravarti-Raja o "Re che fa girare la ruota dell'universo".


I discepoli di Shakyamuni

(p. 76)
Dopo qualche anno i discepoli di Shakyamuni superavano il migliaio. La maggior parte di questi proveniva da famiglie reali o di mercanti, come abbiamo visto tradizionalmente alla ricerca di santi e saggi. Era poi tradizione che quando si convertiva un re o un capofamiglia, amici e conoscenti naturalmente si incuriosivano della cosa. Questo spiega in parte la rapida moltiplicazione del numero dei seguaci.
Nagarjuna ha suddiviso i metodi di propagazione di Shakyamuni in 4 tipi:
1°) andava incontro ai bisogni di chi ascoltava
2°) si basava sulle capacità intellettuali degli ascoltatori
3°) consisteva nel correggere e refutare gli errori degli ascoltatori
4°) consisteva nel predicare la verità ultima quando gli ascoltatori avevano raggiunto un livello elevato di comprensione.
Poste le "basi", Shakyamuni lasciò Benares e iniziò un lungo periodo di peregrinazione per propagare la fede. Non si portò dietro nessuno. Ognuno dei discepoli fu da lui invitato a partire, Da Solo, a svolgere attività di propagazione, proprio come avrebbe fatto lui.
Ci sono 2 aspetti importanti da considerare: anzitutto che Shakyamuni poneva grande fiducia in ogni individuo; e poi che la propagazione è un aspetto della pratica della fede.


La predicazione a Uruvela

(p. 80)
E' il periodo in cui Shakyamuni convertì il re Bimbisara del Magadha, i famosi discepoli Shariputra, Maudgalyayana, Mahakashyapa e i tre fratelli del clan dei Kashiapa. Questi ultimi erano 3 prestigiosi asceti brahmani che avevano un seguito di circa 1000 discepoli. La loro conversione, dei 3 asceti e dei relativi discepoli, costituisce forse la più grande conversione di massa al buddismo di sempre. Il re Bimbisara donò un vasto terreno noto come il "Bosco di Bambù" dove fece costruire un monastero per Shakyamuni e gli ormai oltre 1000 discepoli.
Questi fatti ebbero 2 conseguenze: la prima era che nasceva a tutti gli effetti un ordine monastico buddista; la seconda che provocarono grande risonanza in tutta l'India, in particolare per la conversione di Bimbisara.

I discepoli

Shariputra e Maudgalyayana

(p. 85)
Nati entrambi in famiglie brahmane, erano intimi amici sin dall'infanzia ed entrambi considerati giovani di grande talento. Insoddisfatti del brahmanesimo, incontrarono Sanjaya Velatthiputta (uno dei "6 maestri non buddisti") e diventarono suoi seguaci. Sanjaya era famoso per un nichilismo ed uno scetticismo estremi. Pur seguendolo con molta attenzione ben presto ne furono insoddisfatti. Sanjaya era particolarmente orgoglioso dei 2 giovani, che considerava suoi futuri successori.
Shariputra un giorno incontrò un discepolo di Shakyamuni, tale Assaji. Forse Assaji era uno dei 5 asceti della prima predica. Shariputra gli chiese chi fosse il suo maestro, colpito dalla serenità che manifestava Assaji.
Assaji disse che il suo maestro era Shakyamuni, ma con grande modestia aggiunse che, essendo egli da poco nell'ordine buddista, non era in grado di esporre in modo adeguato le sue dottrine. Alla fine però, dopo le pressanti insistenze, qualcosa disse a Shariputra, e fu sufficiente a convincerlo.
In realtà Shariputra si convinse ammirando la personificazione dell'insegnamento rappresentata da Assaji, e non certo la sua eloquenza, e questo è il 1° aspetto che rende molto importante l'episodio.
Il 2° aspetto è l'estrema onestà e integrità morale di Assaji. Occorre molto studio e molta disciplina per impadronirsi delle dottrine, ma si può già dagli inizi avere un atteggiamento corretto.
Comunque si siano svolti i fatti, Shariputra corse dall'amico Maudgalyayana per parlargliene, ed entrambi decisero di seguire Shakyamuni. Anche i 250 novizi seguiti dai 2 amici decisero di seguirli. Inutile dire che fu un colpo molto duro per Sanjaya. Di fatto avvenne il crollo della sua intera setta.
Shakyamuni si accorse presto di aver guadagnato 2 discepoli di altissime capacità, e quando li accolse con i loro 250 seguaci predisse loro che sarebbero diventati "i primi" fra tutti i suoi discepoli.
Shariputra divenne "il primo nella saggezza" e Maudgalyayana "il primo nei poteri magici".
Da un altro punto di vista, la conversione di Shariputra e Maudgalyayana rappresenta bene come il buddismo assurge al ruolo di religione in grado di confutare le tendenze nichiliste e scettiche del tempo. E' un fatto di importanza storica, dal punto di vista della "storia del pensiero".
"Quando nasce un nuovo sistema di pensiero, è naturale che esso non solo cerchi di esporre le proprie idee, ma tenti di confutare quelle delle scuole rivali, in particolare quelle che propugnano dottrine più antiche o più popolari" (Ikeda). Shakyamuni da inizio ad una "guerra delle idee", e gli "scontri" dialettici con brahmini si fanno sempre più frequenti.


Mahakashyapa

(p. 85)
Era considerato "il primo nella pratica ascetica". Sebbene Shakyamuni respingesse l'ascetismo, tollerava il Dhuta, un insieme di precetti non rigorosissimi sul modo di mangiare, vestire e vivere di elemosine.
Suo grande merito quello di aver convocato, dopo la morte di Shakyamuni, il Primo Concilio, e anche quello di aver redatto le regole del canone buddista.
Era un uomo quindi rigoroso e austero. Per questi motivi era temuto e rispettato, ma non di rado anche criticato e persino odiato. Era quel tipo di uomo che, quando non vengono ben comprese le ragioni del loro comportamento, vengono fraintesi e suscitano invidia e freddezza.
Non aveva inoltre grande eloquenza e quindi non era un abile predicatore. Ma la sua devozione e la sua fermezza nel "mettere in pratica" gli insegnamenti di Shakyamuni non aveva rivali. Era fondamentale anche nel gestire gli aspetti, per così dire, amministrativi all'interno dell'ordine.
In un periodo di forti critiche, Shakyamuni lo fece sedere accanto a se durante una predica. Un onore mai concesso a nessun altro. Shakyamuni era un grande conoscitore degli uomini, e mostrava un rispetto sconfinato per tutti. Il buddismo non propone uno stereotipo di uomo ideale; non tende a creare dell'uomo un immagine fissa.(Ikeda). E' un punto molto importante.


Sudatta

(p. 93)
Apparteneva alla casta dei Kshatrya che raccoglieva guerrieri e ricchi mercanti. Era appunto un mercante di savatthi, nel Koshala, il potente stato confinante con quello degli Shakya.
Sudatta era considerato l'uomo più ricco di tutto il Koshala e la sua conversione provocò molto fermento. Egli non era noto solo per la ricchezza ma anche per la grande generosità che mostrava nei confronti di ogni persona. Veniva chiamato Anathapindada, o "Soccorritore dei bisognosi".
Donò all'ordine il famoso "monastero del bosco di Jeta".


La visita di Shakyamuni a Kapilavastu

(p. 95)
Avvenne poco dopo la conversione di Sudatta. Shakyamuni non era mai rientrato prima nella sua patria da quando se ne era allontanato, e mancava da parecchi anni.
A Kapilavastu già sapevano della sua illuminazione. Pur essendo gli Shakya molto conservatori dal punto di vista religioso, dopo una dimostrazione di Shakyamuni dei suoi poteri mistici alcuni di essi si convertirono.
Il primo a convertirsi fu il padre, il re Shuddhodana, seguito dal figlio Rahula. Poi si convertirono altri che diventarono famosi discepoli come Upali, Anuruddha, Ananda e Devadatta. Rahula, curato personalmente da Shariputra, si distinse come "il primo fra coloro che amano praticare l'autodisciplina".


Ananda

(p. 97)
Era fratello di Devadatta e cugino di Shakyamuni. Pur molto giovane divenne presto il suo discepolo prediletto. Descritto come "il primo nella protezione della legge" aveva una memoria prodigiosa che gli consentiva di ricordare tutti i sermoni e le parole pronunciate anche una sola volta dal Budda. Insieme a Mahakashyapa ebbe un ruolo fondamentale durante il Primo Concilio (di cui parleremo) recitando a memoria tutti quei testi che ora chiamiamo Sutra.
E pensare che la sua partecipazione al Concilio era in dubbio. Ananda era trattato con freddezza dai monaci più anziani. Egli era l'accompagnatore e assistente personale di Shakyamuni, fino alla sua morte, ma secondo molti non dimostrava la dovuta riverenza. Inoltre su sua insistenza le donne furono ammesse tra i monaci e ciò provocò non pochi mugugni. Inoltre era fratello di Devadatta, quest'ultimo essendo colui che attentò a più riprese alla vita del Budda. La sua vicinanza costante al Budda attirava anche non poche invidie.
Insomma era un giovane, di mentalità aperta e natura mite e generosa.
Tutto il Buddismo, di ogni corrente, gli deve moltissimo.


Upali e Anuruddha

(p. 98)
Anche Upali e Anuruddha appartenevano alla cerchia ristretta dei 10 principali discepoli del Budda.
Upali era "il primo nel vinaya" ovvero in disciplina. Egli costituiva un eccezione: era di umili origini, faceva il barbiere alla corte di Kapilavastu. All'epoca erano solo i membri di casta elevata a dedicarsi alla vita religiosa. Shakyamuni fu molto protettivo con lui nell'intento di combattere i pregiudizi sociali molto radicati nell'India del tempo. All'interno del Sangha (Ordine Buddista) non vigevano differenze di rango se non quelle dettate dall'anzianità di conversione.
Anuruddha era "il primo nella divina percezione", proprio perché sebbene cieco percepiva tutto in modo straordinario. Un aneddoto curioso ci racconta come diventò cieco. Durante un sermone del Budda si assopì e questi lo rimproverò severamente. Prese una decisione "drastica" per impedire che gli occhi si chiudessero, perseverando sino a perdere la vista. Un uomo dalla volontà inflessibile.

L'espansione dell'ordine

Gli altri discepoli principali

(p. 101)
Rimangono altri 3 discepoli: Purna, Katyayana e Subhuti.
Purna era "il primo nell'oratoria e nelle prediche". Apparteneva alla classe dei ricchi mercanti come Sudatta. Conobbe il Buddismo durante un viaggio di affari a Savatthi, capitale del Koshala. E' probabile che l'aver avuto una lunga esperienza di mercante gli abbia insegnato molto sulla "psicologia" degli uomini, e come tutti i buoni uomini d'affari egli doveva avere imparato a leggere nella mente delle presone con cui trattava. Da ciò la sua eccellenza nell'eloquenza e nel saper usare il linguaggio adatto alle persone che incontrava.
Katyayana si convertì a Savatthi come Purna. Era "il primo nell'analisi e nell'esegesi delle massime del Budda". Pare che fosse un teorico abilissimo, particolarmente bravo nell'ordinare sistematicamente le enunciazioni del Budda e nel presentarle in una forma lucida e incisiva.
Subhuti era "il primo nella comprensione della dottrina della shunyata" o del Vuoto. In realtà la sua caratteristica principale era "la mancanza di caratteristiche", fatto curioso ma distintivo. Si distingueva non tanto per la comprensione di qualcosa, quanto per la sua personalità equilibrata e armoniosa, di animo gentile e modesto. Potremmo definirlo "il primo nell'essere un uomo comune".
Al di là di aneddoti e leggende, "[...] Non possiamo che restare colpiti dalla straordinaria diversità nel carattere e nella personalità dei dieci principali discepoli del Budda, e al tempo stesso dalla grande abilità che egli dimostrò nello sfruttare al meglio i loro talenti e le loro capacità.[...] La vera guida è colui che con abilità e intelligenza sviluppa al massimo le qualità di ogni tipo di persona, anche di quelle radicalmente diverse da lui e che non corrispondono ai suoi gusti, e sa utilizzarle per creare un Tutto armonioso e ben equilibrato." (Ikeda). Shakyamuni è un grande esempio di Leader Ideale.


La città di Savatthi

(p. 104)
Era la capitale del Koshala, molto popolosa, e si diceva che quasi le metà delle persone che l'abitavano si fosse convertita al buddismo o fosse ben disposta verso di esso.
Secondo alcuni la grande diffusione del buddismo fu dovuta anzitutto agli sforzi del mercante Sudatta. Il monastero di Jetavana, che egli fece costruire, era utilizzato dai monaci per lo Studio e la Meditazione, soprattutto durante la stagione delle piogge, poco adatta alla propagazione. Divenne una sorta di quartier generale per Shakyamuni e i suoi discepoli.
Ovviamente anche le religioni rivali, in testa i Brahmani, si concentrarono nel Koshala anche per contrastare l'ascesa del buddismo. L'ambiente intorno al monastero non era certo cordiale. Non mancarono neppure episodi di attacco personale, complotti e calunnie nei confronti di Shakyamuni.
Il problema non era solo religioso ed un episodio noto lo esemplifica bene.
Ad un brahmino che incontrandolo lo chiamò "monaco spregevole di bassa lega" Skakyamuni rispose dicendo: "Nessun brahmano è brahmano per nascita; nessun fuori casta è fuori casta per nascita. Un fuori casta è tale per le sue azioni; un brahmano è tale per le sue azioni".
Shakyamuni non era un agitatore sociale, ma predicando l'assoluta uguaglianza delle persone non poteva certo essere ben visto da chi faceva delle caste un dogma ineluttabile. Pur non potendo determinare "modifiche sociali" in tutto il paese, Shakyamuni si premurò di continuo che all'interno dell'ordine dei monaci non si infiltrasse, per simbiosi, un sistema simile alle caste o in qualche modo discriminativo.
Molti episodi e aneddoti vengono ricordati del periodo di Shakyamuni a Savatthi.
Molto importante la conversione di una donna poi nota col nome di Mrigara-Matri. Donna forte e determinata, ebbe un ruolo decisivo nell'aiutare Shakyamuni ad affrontare gli attacchi calunniosi.
Interessante la conversione del re del Koshala, Pasenadi, colpito dal fatto che Shakyamuni riscuotesse un rispetto ed una venerazione pari a quelle dovute proprio ad un re o ad un sacerdote brahmano.
Colorita la conversione di Chih-man, che significa "parrucca di dita". Brahmano di nascita, dopo esperienze negative perse fiducia in tutto e si dette alla vita di fuorilegge. Era un vero terrore per la popolazione. Usava le dita delle vittime per ornare la sua "parrucca". Nonostante tutto Shakyamuni andò a trovarlo e usando poteri magici lo convertì. Shakyamuni era indubbiamente un uomo coraggioso, e dimostrò che anche il più malvagio degli uomini può essere salvato.


L'organizzazione dell'ordine

(p. 110)
Oltre al monastero di Jetavana nel Koshala, anche nel resto dell'India, con il progredire della diffusione, nacquero altri monasteri. Tra i più famosi quello della Grotta delle Sette Foglie a Rajagaha, dove si tenne il Primo Concilio, il monastero della Grande Foresta vicino Vaishali e il monastero del Parco dei Cervi a Benares. Probabilmente questi erano anche i centri principali per la propagazione del buddismo.
Dopo diverse fasi, il Sangha (ordine) venne a comporsi di 4 comunità: i bhikkhu (monaci), le bhikkhuni (monache), gli upasaka (fedeli laici) e le upasika (fedeli laiche). Non v'è certezza riguardo ai precetti che seguivano i monaci (250 per gli uomini e 500 per le donne, secondo alcuni), quasi sicuramente codificati in gran parte dopo la morte del budda.
Quanto segue è quello che più comunemente viene accettato.
I Monaci erano tenuti al massimo rispetto della cosiddetta "Triade di gemme": il Budda, il Dharma ovvero la legge, il Sangha ovvero la comunità dei fedeli. Per la pratica religiosa c'era il dhyana (meditazione), il prajna (saggezza), e l'osservanza di alcuni precetti.
I Laici osservavano 5 semplici princìpi etici: non uccidere, non prendere ciò che non è dato, non commettere adulterio, non mentire, non bere bevande inebrianti. Essenzialmente, contemplando la legge, il laico ricercava la saggezza e il miglioramento della propria persona.
Perché allora furono poi codificati i sopraccitati 250 o 500 precetti per monaci e monache? E' Probabile che dopo la morte di Shakyamuni si puntò sulla "disciplina" per mantenere "ordine" nel Sangha. Però questa severità snaturò il buddismo, e ancora adesso nel mondo molti credono che questa religione richieda una vita monastica e piena di rinunce e precetti inflessibili. Per non parlare di chi pensa che porti a sviluppare chissà quali poteri. Ai tempi di Shakyamuni i monaci conducevano sì una vita più rigorosa dei laici ma non così distaccata e inavvicinabile come poi è diventata.
I precetti crearono una linea di demarcazione netta tra monaci e laici, mandando a farsi benedire Uguaglianza e Via Di Mezzo!
All'inizio le donne non erano ammesse nell'ordine. Molte lo chiedevano ma era lo stesso Shakyamuni a respingerle. Solo negli ultimi anni della sua vita, e dopo pressanti insistenze di Ananda, si convinse. La prima monaca fu Mahaprajapati, zia e madre putativa di Shakyamuni.
Eppure Shakyamuni predicava l'uguaglianza senza alcuna distinzione "tradizionale" tra gli individui, ivi compresa quella tra i sessi. Allora dove risiedevano le sue resistenze alle donne nell'ordine monastico?
Si può pensare semplicemente ad un problema di opportunità. Il timore che la "distrazione" causata dal sesso potesse distrarre i discepoli dalle pratiche religiose doveva essere molto forte. La letteratura indiana descriveva le donne come esseri essenzialmente lussuriosi e litigiosi, e addirittura la società indiana equiparava le donne, dopo aver svolto la funzione di procreare, alla stregua degli schiavi.
Nei primi insegnamenti di Shakyamuni la situazione della donna è ritratta in tal modo da incoraggiarla a prendere fede per poter rinascere come uomo nella vita successiva, e poter finalmente raggiungere l'illuminazione. Essere donna insomma era l'effetto di un cattivo karma, un vero handicap spirituale. Fu il buddismo Mahayana, in particolare nel Sutra del Loto, ad affermare che la donna, come tutti, può ottenere l'illuminazione nella forma presente.


La ribellione di Devadatta

(p. 113)
Devadatta era un nobile degli Shakya, cugino di Shakyamuni e più giovane di quest'ultimo di circa trent'anni. Era anche fratello di Ananda.
Gli episodi che seguono avvennero negli ultimi anni di vita di Shakyamuni.
Il problema di Devadatta era che, dopo anni di sussiego, ad un certo momento si inebriò del desiderio di conquistare la guida dell'ordine buddista, sottraendolo a Shakyamuni. Il primo passo fu conquistarsi la fiducia di Ajatashatru, figlio del re Bimbisara.
Si formò quindi un'alleanza che era una "Risonanza di Avidità": Ajatashatru era invidioso del prestigio del padre; Devadatta di quello di Shakyamuni. Devadatta fomentava lo scontento e la frustrazione del principe. Ajatashatru faceva invece donazioni molto vistose al monaco, tali da suscitare invidie da parte di altri monaci, invidie severamente redarguite da Shakyamuni.
Ad un certo momento Devadatta si convinse a tal punto di essere la degna guida dell'ordine da chiederlo esplicitamente a Shakyamuni, il quale rispose che non avrebbe affidato l'ordine a nessuno dei suoi discepoli, e a lui meno che ad altri! Le cateratte della collera di Devadatta s'aprirono di schianto!
Incitò Ajatashatru a liberarsi del padre e a diventare re del Maghada, cosa che avvenne. Non è chiaro se Ajatashatru uccise il padre, re Bimbisara, o se questi si allontanò da se. Quindi attentò alla vita di Shakyamuni a più riprese, assoldando sicari, provocando valanghe, imbizzarrendo elefanti. Il massimo risultato che ottenne fu una leggera ferita al piede con la valanga di roccia.
Non potendolo uccidere cambia obiettivo: seminare discordia all'interno dell'ordine (del quale continuava a far parte).
Propone ai monaci di seguire le cosiddette "5 pratiche": (1) che i monaci dimorassero in luoghi remoti, lontani da città e villaggi; (2) che vivessero soltanto di elemosine e rifiutassero offerte e inviti; (3) che indossassero solo vesti fatte di stracci e non abiti ricevuti in dono; (4) che sedessero sotto gli alberi e non entrassero nelle case; (5) che non mangiassero carne animale o pesce.
Se queste proposte servivano ad "indurire" le condizioni di vita dei monaci ne possiamo dedurre cha l'ordine buddista non praticava forme estreme di austerità o disciplina (per rispondere ulteriormente alla precedente domanda dei precetti). Tant'è che, come Devadatta aveva previsto, Shakyamuni respinse la proposta senza mezzi termini. Devadatta allora si elevò a "sant'uomo", accusando Shakyamuni di non esserlo, e con 500 neofiti si allontanò dall'ordine.
Fu il 1° Scisma della storia del Sangha.
"[...] proclamandosi più puri e santi degli altri, gli uomini ambiziosi ingannano e portano alla rovina le altre persone [...] non si può mai giudicare un uomo in base alle sue sole parole [...] spesso nella storia dell'umanità simili appelli di fedeltà a princìpi più alti vengono utilizzati da Ipocriti come mezzi per fuorviare i loro simili al servizio dei loro disegni". (Ikeda)
Lo scisma fu solo temporaneo. Shakyamuni inviò Shariputra e Maudgalyayana a predicare ai monaci dissidenti che tornarono subito sui loro passi. Devadatta quando lo seppe ne ebbe una tale collera che cominciò a tossire e a sputare sangue e poco dopo morì.
Il Sutra del Loto contiene un capitolo su Devadatta, dove si mette in evidenza che anche un tale individuo può ottenere l'illuminazione. Inoltre si mette in guardia chiunque dal diventare "un devadatta". L'ambizione e la bramosia di onori e di ricchezza dimorano nei recessi dell'animo di ciascuno di noi e fanno parte della natura umana. Per tali ragioni l'episodio di Devadatta è di grandissima importanza e offre sempre motivi di riflessione.
Ajatashatru dopo una grave malattia si pentì e divenne un devoto buddista, noto per aver contribuito a raccogliere e ordinare gli insegnamenti buddisti.

L'entrata nel Nirvana

I tristi eventi che accompagnarono gli ultimi anni di Shakyamuni

(p. 119)
La morte del Budda è raccontata nel Mahaparinirvana Sutra, o Sutra del Nirvana, l'unico sutra successivo al Sutra del Loto basandosi sulla cronologia della vita del Budda. Non è più Shakyamuni a parlare, come nel Sutra del Loto, ma questo sutra contiene i ricordi dei discepoli.
Shakyamuni, accompagnato dall'onnipresente Ananda e da altri 500 discepoli, si recò a Kushinagara, dove morì. Il sutra narra dei 6 mesi anteriori e dei 6 posteriori la morte del Budda, descrivendo anche i funerali, la cremazione e la distribuzione delle ceneri ai dolenti.
Ma, prima della morte, vi furono 2 eventi in rapida successione che provocarono grande dolore Shakyamuni:
1) morte di Shariputra e Maudgalyayana.
Shariputra e Maudgalyayana costituivano i veri pilastri dell'ordine, e la loro importanza per la "successione" di Shakyamuni era assoluta. In alcune scritture giainiste Shariputra è addirittura indicato come il capo dell'ordine buddista, anziché Shakyamuni.
Shariputra morì per una malattia, mentre Maudgalyayana, poco tempo dopo, pare sia stato ucciso da un brahmano.
Fu un colpo molto duro per Shakyamuni, che affermò: "Da quando Shariputra e Maudgalyayana sono morti, questa assemblea mi sembra deserta". Era il momento del dolore al quale reagì presto, vedendo lo scoramento presente tra gli altri discepoli. Li ammonì severamente: "Quale ragione avete di piangere? Che cosa avete perduto con la morte di Shariputra?". La Transitorietà delle cose e delle persone è l'essenza di questo mondo. Qualsiasi cosa capiti, nessuno deve mai perdere il senso della propria identità.
2) declino della tribù degli Shakya.
Vidudabha, figlio del re Pasenadi che era un devoto di Shakyamuni, si impossessò del trono del Koshala durante un'assenza del padre. Per motivi vari aveva in odio la tribù degli Shakya. Dopo vari tentativi di attacco falliti per la presenza di Shakyamuni, alla fine distrusse il piccolo regno.


L'ultimo viaggio

(p. 122)
Shakyamuni predicò il Sutra del Loto dal famoso Picco dell'avvoltoio (o dell'aquila). Non è un monte particolarmente alto, ma ha una bellissima foresta ed una sorgente d'acqua calda, cosa assai rara in India. Era indubbiamente un luogo gradevole dove ritirarsi a meditare.
Dal picco dell'avvoltoio partì per l'ultimo viaggio. Aveva ormai ottant'anni.
Sempre accompagnato da Ananda, che probabilmente svolgeva anche il compito di bastone, raggiunse un luogo chiamato Venugrama (Bosco di Bambù) dove rimase per tutta la stagione dei monsoni e dove si ammalò gravemente. Shakyamuni poi si riprese, ma si stupì della mancanza di preoccupazione di Ananda, il quale era certo che il Budda non sarebbe morto senza impartire le "direttive" per il futuro del Sangha.
Shakyamuni parlò chiaro ad Ananda: "Cosa si aspetta l'ordine da me? Io ho insegnato la Legge senza fare alcuna differenza fra dottrine esoteriche ed essoteriche, perché il Risvegliato non è certo colui che cela qualcosa ai suoi discepoli". Quanto all'ordine proseguì: "Se qualcuno pensa 'Io guiderò il Sangha' [...] questi è colui che dovrà fissare le regole per i bhikkhu. Tuttavia il Tathagata non pensa 'Sono io che guiderò il Sangha' o 'I bhikkhu dipendono da me' ".
E' una rivelazione importante. Shakyamuni si dichiara un membro dell'ordine. Il suo atteggiamento verso i discepoli era quello di un amico, di un compagno che tendeva alle stessa mete e accettava la stessa filosofia di vita. (Ikeda).
Successivamente Shakyamuni si rivolse ai discepoli con queste parole: "Perciò siate voi stessi la vostra isola. Prendete il vostro Io come rifugio. Non cercate rifugio in altro che in voi stessi. Attenetevi fermamente alla legge e fate che essa sia la vostra isola[...]".
L'individuo deve arrivare nel proprio intimo a una salda comprensione [...] e proseguire per la sua strada con questa comprensione come unica compagna. [...] Nessuna religione dà maggiore importanza del buddismo alla dignità dell'individuo e alla sua individualità [...] L'unico assoluto è il Dharma, o legge della vita, che altro non è se non ciò che esiste all'interno dell'io [...] In altre parole, egli trasforma il suo io attuale e mutevole nell'io quale dovrebbe essere, l'io in perfetta armonia con la legge. Questo Umanesimo e questo concetto di Rivoluzione Umana costituiscono la vera essenza della religione buddista. (Ikeda).


Chunda il fabbro

(p. 125)
Dopo i monsoni Shakyamuni si rimise in viaggio, e a un certo punto si fermarono in una località di nome Pava, in un bosco di alberi di mango. Chunda, un fabbro del villaggio vicino, si onorò di ospitare il Budda e i suoi discepoli a pranzo, dove tra le altre cose offrì dei funghi i quali probabilmente furono fatali al fisico indebolito di Shakyamuni, provocandogli diarrea ed emorragie intestinali.
Ananda redarguì duramente il fabbro ma Shakyamuni lo zittì. Disse anzi che Chunda avrebbe ricevuto grandi ricompense per il pasto loro offerto con tanta sincerità.


Il Parinirvana

(p. 127)
Shakyamuni si rimise in viaggio ma non andò lontano. L'ultima sosta fu a Kushinagara, vicino Kapilavastu.
Disteso su un giaciglio preparatogli da Ananda, Shakyamuni fece le sue ultime prediche. Le sue ultime parole pare siano state: "La decomposizione è nella natura di tutte le cose composite. Operate con diligenza per la vostra salvezza". Insegnò la legge fino all'ultimo respiro.
Vi furono ovviamente funerali solenni e le sue ceneri vennero sparse per tutta l'India.
La morte di un uomo veramente grande spesso segna l'inizio piuttosto che la fine di un'epoca. Il fatto determinante è se un uomo abbia vissuto essenzialmente per la sua gloria o abbia dedicato la sua esistenza alla ricerca degli eterni princìpi di verità e della vera felicità dell'umanità intera. Shakyamuni appartenne a quest'ultima categoria e il suo messaggio, lungi dal perire con lui, è stato trasmesso ai posteri dai suoi seguaci, dando inizio ad un'era nuova nella storia spirituale dell'umanità. (Ikeda).